sabato 28 agosto 2010

la maschia

G: "Ho un'audizione, 
per la parte di un transessuale"
S: "Quando, dove?"
G: "Domani a Catania"
S: "Ok, partiamo" 






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Il mattino ha l’oro in bocca

Sono le sette del mattino di un Venerdì Santo. Suonano alla porta. E’ Giosafat, capelli sciolti sulle spalle, abito elegante e tacchi vertiginosi. Esordisce con un fatto, grave, viste le circostanze: “Non sono riuscito a farmi la barba, ho perso le chiavi di casa ieri e ho dovuto dormire da un’amica”. Penso che eviterò di offrirgli del caffé e lo invito ad usare il rasoio. Passino le gambe non depilate, ma occorre almeno radere il viso per presentarsi all’audizione. Il mio amico sa bene che non sarebbe altrimenti credibile nella parte di un transessuale.

Durante il viaggio musica e chiacchiere sembrano distrarre Giosafat dall’apprensione per l’audizione delle undici. Il commissario Montalbano piace a tutti, sicuramente quella mattina piace molto a noi occupanti del veicolo blu metallizzato che si sposta a velocità moderata sull’autostrada Palermo-Catania. Se fosse un film, a questo punto ci sarebbe una ripresa dall’alto. L’auto solitaria che viaggia sulla strada deserta in un giorno assolato, con successivo close-up sui personaggi: io e Giosafat sul sedile posteriore, comodi come in salotto. Laura alla guida mantiene velocità di crociera e a turno ci chiede a prestito gli occhiali da sole. Sergio rulla sigarette con la sua miscela di tabacco preferita, cambia musica di tanto in tanto e ci ricorda che è fuori luogo pretendere da lui una conversazione brillante prima di mezzogiorno. E la macchina va.

Montalbano sono

Gli uffici dell’agenzia si trovano al primo piano di un bel palazzo antico nel centro di Catania. Altri attori affollano la piccola anticamera, sono lì per ruoli diversi, tutti con appuntamento alle undici. C’è una donna molto bella, probabilmente straniera, ricorda tanto l’amica svedese di Salvo. Poi c’è un uomo di mezza età, potrebbe sembrare un distinto uomo d’affari. Un paio di comparse e un picciotto sui vent’anni. Infine il nostro amico, per la parte di un bellissimo transessuale.
Giosafat è un po’ nervoso, guarda fuori dalla finestra, si siede, si alza. L’attesa non è lunga, gli auguro in bocca al lupo e, mentre aspetto, quasi litigo con un cornetto alla nutella. Avevo dimenticato la mirabile usanza catanese di strafare nella farcitura dei cornetti. 


La barista in crisi

Finita l’audizione Giosafat ha, giustamente, fame. Dimenticando di aver mai avuto a che fare con cornetti stracolmi di nutella, ci tuffiamo nel primo bar della piazza. Un cannolo, grazie, un’acqua tonica. L’affabile proprietaria sembra distratta, guarda Giosafat, guarda me, guarda tutto il gruppo, guarda Giosafat, mentre noi la osserviamo impietriti e increduli agitare una bottiglietta di Schweppes e aprirla. La piccola esplosione ci investe nell’ilarità generale. La donna confessa candidamente di aver creduto di aprire un succo di frutta, mette da parte quel poco che rimane dell’acqua tonica e afferra un’altra bottiglietta, facendo più attenzione questa volta.
Rotto il ghiaccio, la conversazione si sposta sui temi caldi del giorno: “Sì davvero una bellissima giornata. Siete turisti? La crisi ha colpito anche noi, non ricordo un anno così…” giunti all’argomento recessione, uno spontaneo velo di silenzio (seguito da impercettibile sospiro) altera il ritmo del discorso.
Al che, la signora spiazza tutti offrendo l’acqua tonica sopravvissuta al piccolo incidente: “Sarebbe un peccato buttarla”. Ringraziamo sorpresi da tanta inaspettata gentilezza e chiediamo il conto. Salvo accorgerci, appena fuori, che ci ha addebitato entrambe le bottiglie e a prezzo pieno.

Virale o autoimmune?

E’ una calda giornata primaverile, u liotru domina la piazza, ci guarda dall’alto del suo piedistallo con gli occhi inespressivi e quella specie di sorriso, a ben guardare agghiacciante. Correremo il rischio di rubare all’elefante la sua tradizionale scena. Adoro la perfezione di questa piazza, è raffinata, raccolta e invita a scoprirne le bellezze senza fretta. Non saprei dire cosa la rende tanto interessante dal punto di vista urbanistico, però è così che disporrei i mobili nel mio salotto, se ne avessi uno.
La piazza è gremita di gente: semplici passanti, anziani che bivaccano al bar, ragazzi che bivaccano sugli scalini, turisti erranti. Americani, soprattutto. Ma ci sono anche gli spagnoli del gruppo Semana Santa che al passaggio di Giosafat non riescono più a riportare le mascelle in posizione, rischiando di ingoiare le prime mosche di stagione. “¿Eso es un tio o una tia?”, il dubbio pervade il sacro gruppo.
Quando infine capiscono, sono le reazioni a sorprendermi. Gli uomini ridacchiano, probabilmente di se stessi e del proprio errore di valutazione. Le donne invece (ed è qualcosa che noterò spesso durante questa giornata) mantengono scolpita sul viso un’espressione di disprezzo, borbottando cattiverie a voce bassa. Ma non tanto bassa da non essere udite. Queste particolari turiste sembrano già abbastanza infastidite dal fatto di aver incontrato un uomo vestito da donna, e per di più di Venerdì Santo!

Giosafat attira molti sguardi diversi e provoca alterne emozioni: complicità, ammirazione, disprezzo, semplice curiosità.
Seduto in mezzo alla piazza in una posa da diva, sento aumentare i commenti intorno a noi. Da un simpatico: “Che siamo alla playa?!”, a un insistente “Ma chì è masculu o fimmina? Masculu o fimmina? Masculu è!”  il signore in questione mi parla nell’orecchio. Gli rispondo: “Sì ma non sempre”, confondendo definitivamente le sue idee. Al che l’uomo mi getta un’occhiata tra l’incredulo e il “profondamente ferito nei sentimenti”, retrocede appena un passo continuando a ripetere: “Masculu o fimmina?”. Finché l’intervento provvidenziale di due passanti risolve l’enigma: “Masculu, masculu è - lo rassicurano, con un’aria di sussiego dovuta probabilmente al fatto di essere portatrici di vagina - Però che bei capelli”.


La Maschia
 

Proprio quando pensavamo che la nostra giornata catanese fosse conclusa, registriamo l’incontro più genuino. Ci punta subito, appena prendiamo posto al tavolo e comincia a fissare Giosafat in maniera imbarazzante. Una bambina di sei o sette anni, lo guarda in silenzio e con la bocca aperta, a una distanza di dieci centimetri dalla sua faccia. Non riesce a credere ai propri occhi. Gli chiede in un italiano stentato “Sei uomo o donna?” e lui si diverte a mantenersi sul vago. Lo fissa ancora un po’ più da vicino e, con pazienza e stringente logica, gli spiega che siccome lui non è una donna non dovrebbe portare quegli abiti, né quei gioielli, né quella borsa. E conclude sentenziando: “Tu sei una maschia”.

La risibile teoria della bambina era dettata dalla sua totale mancanza di peli sulla lingua. Data la giovane età, probabilmente riferiva il pensiero dei suoi familiari sull’argomento. In questo caso, ma anche nel caso di molti passanti quel giorno, un uomo vestito da donna sembra minare le più fondamentali regole della convivenza civile. Come a dire, esistono delle convenzioni e vanno rispettate (pensiero discutibile ma comprensibile visto che molta gente non s’è ancora accorta che il mondo è un po’ più complicato di quello che potrà mai conoscere).


La percezione della “diversità” è ancora molto forte ma non sempre produce riprova sociale. Molti, specie fra i giovani, si mostrano interessati all’innocuo sovvertimento delle regole. Nel peggiore dei casi, trovano il travestimento qualcosa di cui farsi gioco.
Alla fine di questa bellissima giornata sono esausta, attraverso Giosafat mi sono resa conto di quanto sia logorante sostenere lo sguardo indagatore di chi non vuol vedere oltre l’apparenza.  


photo©silviaz.com

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