giovedì 22 dicembre 2011

Da Casanova a Berlusconi, così muore il mito del latin lover

Ne è passata di acqua sotto i ponti. Dai racconti di Casanova ai film di Rodolfo Valentino, le citazioni colte del maschio italico oggi sembra si siano ridotte alla filmografia, seppur completa, di Lino Banfi. Anni di bombardamento televisivo, fra b-movies, Drive in, veline e bunga bunga hanno dato un colpo di grazia al proverbiale fascino dell'amante italiano.

Può ancora valere lo slogan “Italians do it better” reso celebre dalla maglietta che Madonna indossava negli anni '80? Che cosa è rimasto del mito del latin lover oggi? La totale divergenza delle opinioni sull'argomento dipende da un semplice dato: il genere. Se da un lato gli uomini sostengono che il loro fascino mediterraneo rimane intramontabile, dall'altro le signore (connazionali e non) avvertono che il mito è ormai irrimediabilmente svanito.

Quando si parla di sesso è sempre più prudente dare la parola alle donne. E' nota infatti la scarsa attendibilità dei maschietti sull'argomento e noti sono i fantasiosi racconti con gli amici a conclusione della partita di calcetto settimanale. Secondo un recente sondaggio, condotto su un campione di oltre mille donne straniere,  la reputazione del seduttore tricolore non è più quella di una volta. Gli italiani sono giudicati troppo infantili e sembra abbiano perso il proprio savoir faire.

Il mito di Casanova è sopravvissuto per oltre due secoli e adesso l'unica cosa che viene in mente pensando all'uomo italiano sono le esotiche immagini delle notti del bunga bunga (segue)

lunedì 19 dicembre 2011

L'ultima notte al coffee shop può attendere. Il governo olandese rinvia l'introduzione del "weed pass"

Tranquilli, c'è ancora tempo per farsi le canne. Contrariamente a quanto diffuso nei giorni scorsi da alcuni quotidiani nazionali, sembra essere falsa la notizia dell'imminente chiusura dei coffee shop di Amsterdam.

I turisti della cannabis possono tirare un sospiro di sollievo: il governo olandese ha infatti deciso di rimandare l'introduzione del “weed pass”, un documento rilasciato ai soli residenti, che di fatto impedirà ai semplici visitatori di acquistare hascisc e marijuana nei locali preposti alla vendita.

Gabriella F., una siciliana che lavora da anni in uno dei più noti coffee shop della capitale olandese, conferma che “la notizia non è vera, qui ad Amsterdam, almeno fino al 2013 non servirà alcun pass”.

Il provvedimento di limitazione della celebre politica di tolleranza entrerà in vigore nel maggio 2012 per le città di frontiera, a sud dell'Olanda. Secondo il ministro della Giustizia Ivo Opstelten questo dovrebbe porre fine al via vai dei quasi quattro milioni di cittadini francesi, tedeschi e belgi che ogni anno attraversano il confine con l'esclusivo intento di acquistare della droga.

La prima città ad avere adottato il sistema del weed pass è Maastricht. In soli tre mesi dall'entrata in vigore, la città ha perso il 16 per cento dei suoi turisti e un  vero e proprio patrimonio in entrate. La delibera non ha mancato di suscitare polemiche e dubbi, anche perché è noto che i cittadini olandesi non sono mai stati assidui frequentatori dei coffee shop: via i turisti, per la prospera economia della canna non c'è futuro.

La cannabis, diversamente da ciò che si pensa comunemente, non è legale in Olanda come non lo è negli altri paesi. Coltivazione, uso e vendita sono tollerati, fino a che non superano modeste quantità: un privato può coltivare a casa – e in maniera del tutto naturale - fino a cinque piante, così come nei coffee shop si possono acquistare solo pochi grammi di “erba” (segue)

giovedì 13 ottobre 2011

Pellicce, dal rifiuto al nuovo boom: scaffali pieni per nuove Crudelia De Mon

Indossare pellicce di animali è forse giustificabile se si vive in Siberia, lo è decisamente meno quando si può godere del clima mite della California. Il consiglio comunale di West Hollywood ha votato un provvedimento per vietare la vendita di pellicce e di ogni altro genere di vello animale. Se approvata in via definitiva, la legge entrerà in vigore nel giugno del 2012.

La notizia, com’era prevedibile, ha suscitato reazioni accese e contrastanti: da una parte quelle entusiastiche degli attivisti per i diritti degli animali, dall’altra quelle ferocemente polemiche di chi con pelli e pellicce realizza una fortuna.

Il presidente della Camera di commercio di West Hollywood Genevieve Morrill si è subito lamentata, in un’intervista al New York Times, del fatto che provvedimento avrebbe potuto “diminuire l’importanza della città come capitale della moda”. Mentre Keith Kaplan, manager del Fur Information Council, si è dichiarato addirittura “scioccato dal fatto che il consiglio comunale si sia lasciato condizionare dagli interessi di un gruppo di estremisti”. 

In realtà il disgusto verso i capi realizzati con pellicce animali non è una questione da estremisti, ma un sentimento molto più diffuso. L’idea imposta dalle case di moda che indossare la pelliccia di un animale sia trendy si oppone alla visione di molti amanti della natura, secondo i quali le signore impellicciate assumerebbero il famigerato aspetto di Crudelia De Mon... (segue)

photo©silviaz.com

martedì 20 settembre 2011

Siamo tutti moralisti

Il giudizio presuppone superiorità morale. Molti fra coloro che oggi scrivono indignati di bunga bunga e zoccole di Arcore in realtà considerano le donne come merce e le trattano esattamente come farebbe il maiale del consiglio, se non peggio.

Non ci vuole poi molto a sentirsi moralmente superiori ad un totale depravato.


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sabato 7 maggio 2011

L'eroe silenzioso, la principessa tossica e il signore del feudo. Favole senza morale di questo medioevo

Un tempo questa è stata la casa di qualcuno, il regno di qualcuno. Fino a non troppo tempo fa, a giudicare dagli oggetti personali apparentemente ammonticchiati ma organizzati in un ordine misterioso. Due scatoloni di cartone al centro della stanza, appiattiti a far da letto e delle coperte irrimediabilmente sudicie ma ripiegate con attenzione e cura, segno che qualcuno era grato per quel riparo.

Forse era il palazzo di una principessa caduta in disgrazia che aveva abbandonato i suoi averi: un pettine, una spazzola di plastica, qualche pezza colorata e un paio di bottiglie d'acqua minerale vuote. Tutto quello che possedeva, oltre alla vecchia padella, il barattolo di maionese e un po' di sale. “Che imbarazzo..una casa piena di condimenti e niente cibo” - diceva un film, anche se in ben altro contesto. Però la metafora del condimento senza cibo ritorna identica: chissà, magari oggi è questa la misura dell'isolamento sociale di chi per qualche motivo non riesce più a prendersi cura di se stesso.

Eppure, al tempo e alla miseria erano resistite alcune tracce di vanità femminile: la visita del palazzo culminava infatti con la sala degli specchi. Che poi altro non era che una piccola stanza, con una particolarità: un modesto cedimento del soffitto proprio sulla cima dello specchio poggiato sul muro lasciava filtrare una luce magnificamente irreale. E poi, la finestra alle spalle..quello, semplicemente, era il miglior punto della casa per collocare uno specchio. Se non fosse stato per gli strati di polvere accumulati sul vetro per anni, la principessa avrebbe anche potuto osservare i lineamenti del suo viso. Ma forse non voleva, forse preferiva ricordarli come erano una volta.

Quando il tempo era bello, la sfortunata principessa poteva ammirare dalla sua terrazza l'imponente palazzo reale che dominava la vallata. E questa volta non si trattava di un castello immaginario, niente a che vedere con gli strani sogni partoriti della sua mente quando era strafatta. Quello esisteva davvero, lo chiamano il palazzo dei Normanni. Lì si narrava dimorassero ancora gli importanti signori del feudo, nobiluomini che, come molti altri, ignoravano l'esistenza della principessa miserabile che viveva a pochi passi dal loro palazzo.

Un manifesto, scritto a carbone sul muro appena prima di Natale, rivelava l'intenzione della nobildonna di abbandonare quel genere di vita e lasciava sperare che potesse davvero farla finita con le pere. Nessuno ha conosciuto l'epilogo della sua favola, ma difficilmente si è trattato di un lieto fine (segue..)

giovedì 31 marzo 2011

E' finita la carta igienica

[contains spoilers] Una scena in particolare della serie tv The Walking Dead mi ha colpita: alcuni sopravvissuti si nascondono nei boschi dalle orde di zombie che infestano le città. E' notte e sono tutti intorno al fuoco. Una graziosa biondina lascia il gruppo per usare il bagno della roulotte. Com'è noto, allontanarsi dal gruppo in un film dell'orrore cosa sbagliatissima è: la ragazza mette solo un passo fuori dalla roulotte per annunciare che "è finita la carta igienica!" e viene sbranata da uno zombie insolitamente lesto. Avrebbe dovuto portarsi i fazzolettini da casa. Un po' come fanno le donne siciliane che sulla presenza della carta igienica nei bagni pubblici non hanno mai contato.

Ora, perché sto parlando di carta igienica e di morti viventi? Non lo so. In effetti inizialmente volevo di parlare di università.

Una notizia in particolare, fra tutte quelle riferibili ai disastrosi tagli ai fondi ordinari di scuola e università in Italia, mi ha colpita. Molti, fra insegnati, studenti e genitori, lamentano il fatto che non ci siano più soldi neppure per la carta igienica. Se non altro non c'è il rischio che saltino fuori Gelmini e Tremonti per divorarli, no, questo no. Però, forse gli intervistati provenivano da altre regioni, perché in Sicilia la carta igienica non solo è finita, non c'è mai stata. Mi sono laureata all'università di Palermo, ho frequentato scuole pubbliche siciliane e non conservo ricordo di alcun rotolo di carta igienica - mai.

Quando - storicamente - è finita la carta igienica? Non c'è mai stata la carta igienica, come non ci sono mai state molte cose fondamentali nelle nostre università. (segue...)


foto©silviaz.com

lunedì 7 febbraio 2011

Storia di un'integrazione (im)possibile

Lo incontro in viale delle scienze, un picciotto sui vent'anni, come ce ne sono a migliaia all'università di Palermo. Accento tipico, taglio di capelli alla moda,  una faccia simpatica che Berlusconi potrebbe definire “abbronzata”. Non si direbbe che che Leone Mario non è di queste parti. “Io mi considero italiano - racconta - anche se non ho ancora la cittadinanza per problemi burocratici”.

Nato nello Sri Lanka da famiglia cingalese, Leone Mario vive a Palermo da quando aveva tre anni. Italiano per cultura, esempio di perfetta integrazione, il ragazzo studia all'università e  fa l'istruttore di kick boxing ai bambini. Eppure, per la legge, non è ancora italiano. Nonostante abbia vissuto la maggior parte della sua vita - praticamente fin dall'asilo - nel nostro paese, è costretto a rinnovare il permesso di soggiorno ogni sei mesi.

In Italia, gli stranieri che risiedono legalmente almeno da dieci anni sul territorio nazionale possono ottenere la cittadinanza. Il ragazzo è a Palermo ormai da diciassette. In prefettura c'è la sua pratica, ancora aperta, e nessuno ha saputo indicargli una data precisa. "Ogni volta ce n'è una nuova, nuovi documenti da presentare, nuove file da fare, nuove tasse da pagare. Tutto sommato - conclude - allo stato conviene che continui a pagare una tassa ogni sei mesi piuttosto che dichiararmi cittadino".

L'episodio suscita più di un quesito ma non stupisce, visti i provvedimenti recentemente presi da sindaci leghisti che hanno portato ad affamare bambini (casualmente extracomunitari e in difficoltà). L'integrazione comincia a scuola  e casi come quello di Leone Mario rappresentano ciò che in materia di immigrazione la Lega teme di più: il ragazzo è la dimostrazione del fatto che il melting pot è possibile ed è la vocazione che più si addice, per storia e tradizione, al nostro paese.

Oltre a fare l'istruttore il ragazzo ha lavorato come assistente e autista di un professore dell'università ormai in pensione. Un contratto a tempo indeterminato e pagamento di contributi Inps, "i documenti che servono, perché ho capito che non frega niente a nessuno se studio o meno”.

Nonostante le comprensibili enormi difficoltà che affronta un ventenne che lavora a tempo pieno e desidera anche studiare, i documenti non sono serviti: la pratica non è andata avanti. "Prima mi hanno detto che se non trovavo un lavoro sarei andato via dall'Italia. Ho fatto tanta fatica e tanti sacrifici, sono riuscito a lavorare e studiare contemporaneamente ma non è bastato, mi hanno detto seccamente che dovrò rinnovare il permesso di soggiorno entro fine agosto. A livello psicologico è stato devastante".

Nel suo quartiere, lo Zen, Leone Mario in passato ha dovuto sopportare qualche episodio di razzismo "è scuro, mi dicevano, e partiva la presa in giro.  Ci stavo male, non sono di qui, sono diverso, mi sono detto. Poi però ho avuto modo di conoscere delle persone eccezionali che questa differenza di colore non la ritenevano importante. Perché mi consideravano parte del gruppo".

Con buona pace di chi sostiene che l'Italia non è un paese multietnico.

giovedì 13 gennaio 2011

I nostri nonni erano Vegan e non lo sapevano

In una delle rinomate rosticcerie di Palermo, chiedo se per caso abbiano qualcosa che non contenga della carne. "Ci sarebbe questo, con il würstel", mi sento rispondere cortesemente. Anche se ho il sospetto che talvolta il würstel non abbia nulla a che fare con la carne, specifico che intendevo "solo vegetale".

Il più delle volte non ho fortuna, altre volte riesco a trovare una "ravazzata" con gli spinaci e la besciamella, o al limite un "pizzotto". Penso sia un peccato non offrire un'opzione vegetariana, visto che il numero di chi decide di non mangiare più carne cresce di giorno in giorno.

Il morbo della mucca pazza, che di recente ha registrato la sua seconda vittima in Italia, ha modificato i gusti culinari di molte persone e c'è da scommetterci, altri rinunceranno alle salsicce dopo il caso dei maiali contaminati. Sul libro nero degli alimenti anche le uova e a questo punto ci si può legittimamente aspettare uno scandalo che coinvolga il latte, presto o tardi.

In rosticceria come altrove, le cose si complicano se sei Vegan. Escludere dall'alimentazione ogni cibo di derivazione animale è la scelta "cruelty free" del Veganesimo.  Chi sceglie questa filosofia dell'alimentazione lo fa per una questione  etica e poi anche per la salute. "Non consumando proteine animali si sottraggono soldi agli allevamenti. I terreni coltivati a cereali vengono utilizzati quasi interamente per il bestiame e questo contribuisce alle crisi alimentari", secondo Diletta Di Simone - un'autorità nel mondo Vegan palermitano - è anche nostra la responsabilità della fame nel terzo mondo.

Sembra che il fondatore della filosofia vegan Donald Watson abbia tratto proprio dalle abitudini alimentari di alcuni agricoltori siciliani l'idea che il sostentarsi di soli vegetali garantisca lunga vita. "In Sicilia durante la Seconda guerra mondiale Watson constatò che la popolazione era in perfetta salute nonostante le privazioni". E pensare che mia nonna era convinta che il diabete le fosse venuto per via di tutte le arance che aveva mangiato durante la guerra (naturalmente c'erano solo quelle, per mesi) (segue)