venerdì 27 agosto 2010

il paese delle pezze

Sarò breve (la prossima volta)

Non so ancora come sono riuscita a passare l'esame di Economia politica. Correva l'anno 1998 e da studentessa di scienze della comunicazione mi domandavo che diavolo fosse la macroeconomia. Soprattutto perché sospettavo l'esistenza di una relativa microeconomia della quale però nessuno dei miei docenti mi aveva mai parlato (la genialità dei piani di studio delle università italiane).

Alla fine, con ritmi di studio che avrei potuto impiegare per passare altri tre esami, riuscii anche a prendere un buon voto in economia. Ma la cosa non riusciva ad appassionarmi. Leggevo e rileggevo quelle formule e avevo la sensazione che volessero farmele passare per leggi naturali, laddove io non vi scorgevo quasi alcuna logica. E' sicuramente un mio limite, tant'è che mi pongo ancora oggi le stesse domande.

Devo ringraziare gli analisti del web e della stampa infatti, se sono riuscita a capire qualcosa dell'origine di questa grande crisi mondiale. Che sia stata creata ad arte, che sia un fenomeno puramente psicologico o una ineluttabile recessione non sta a me stabilirlo. Quello di cui posso parlare per fonte diretta è sicuramente la progressiva degenerazione delle situazioni lavorative in un contesto come quello siciliano (e più in generale italiano) già di per sé anomalo.

Il paese delle pezze, s'intende, al culo, e delle metaforiche pezze che si mettono sempre e comunque ad ogni problema invece di cercare la soluzione più ragionevole, ché fa comodo così.

Per correttezza premetto che in Sicilia ho incontrato anche dei seri professionisti, gente che dà valore al lavoro, con i quali è stato un piacere avere a che fare. Sfortunatamente sono estremamente rari. Questo è in fondo il paese dei ricchi con le pezze al culo. I soldi sono sempre quelli, sono soltanto distribuiti male. Anzi, peggio che in passato. Chi potrebbe fare circolare denaro, lavoro e produttività si guarda bene dal farlo.

Il vero e proprio colpo di genio di questo sistema semi-feudale si ritrova nel concetto di "lavoro gratis". Ovvero volontariato dei lavoratori a favore di datori di lavoro più o meno improvvisati. Il trend dello zero budget sorprende perché proviene proprio da chi si potrebbe permettere di pagare per un ottimo lavoro. Sanno che il mercato è povero di alternative e ne approfittano con la massima tranquillità.

Questo naturalmente contribuisce a mantenere bassi gli standard. Quale professionista infatti lavora per la gloria? Un conto è se il mio lavoro va ad un'associazione no profit o se lo faccio per un amico. Ben altro se devo "lavorare gratis" (virgoletto perché sembra un ossimoro) per qualcuno che ricaverà del guadagno dal risultato della mia fatica. Non c'è dubbio che dovrei essere pagato in questo caso. E non serve essere un economista per capirlo.

La cosa che mi sorprende maggiormente è l'anormalità spacciata per consuetudine e l'arroganza di questa imposizione.
Ultimamente mi sento anche dire che "costo troppo". La tecnica più spesso utilizzata è sminuire il lavoro intellettuale per poter pagare la semplice esecuzione. Questo mi sembra anche più grave del fatto di essere pagati obiettivamente poco a fronte del reale costo della vita in Italia.

Al prossimo che mi viene a raccontare che qui il costo della vita è minore che in altri paesi europei risponderò che qui è soltanto più ingiusto. Un esempio? Pensateci un po', quale cifra pagate mediamente se sommate tutte le bollette casalinghe?

Sarà capitato solo a me di notare la differenza quando si vive all'estero? In tanti anni e tanti paesi diversi, non ho mai pagato più di 50 euro per il totale delle bollette (la mia parte quando dividevo un appartamento, s'intende), che includono acqua (quando si pagava, ad esempio in Irlanda è gratis e si capisce anche perché) luce, gas/riscaldamento, adsl (reale, non millantata).

E' forse un caso se paghiamo la benzina più cara d'Europa e godiamo del sistema di tassazione fra i più vessatori, a fronte della carenza di servizi ai cittadini più sfacciata del continente? Tralascio in questa sede l'allegra consuetudine dell'evasione fiscale.

Last but not least, i prezzi esorbitanti degli affitti. Un giorno di qualche anno fa, i proprietari di case devono essersi incontrati ad una grande riunione di condominio (è così che me li immagino) e devono aver deciso che s'alzava tutti i prezzi indiscriminatamente. Yeah!
Per abitare nel centro di Amsterdam pagavo 500 euro dividendo l'appartemento con un'amica. Altre 500 per una camera in villa in un quartiere residenziale di Dublino, non distante dal centro. Aspetta un attimo, stiamo parlando di capitali europee, esattamente come Roma. E ditemi, nel centro di Roma con 500 euro che sistemazione sarei in grado di trovare? Un tombino con servizi in comune?
Be' neppure a Palermo con meno di quella cifra ci si salva dagli scarafaggi ormai.

In pratica, in Sicilia, dove sono pagata meno della metà per le stesse otto ore di lavoro che facevo altrove, sborso un affitto non molto inferiore a quello che pagavo ad Amsterdam. Ok, non sarò un'esperta di economia né pretendo che la mia esperienza abbia valore statistico, però c'è sicuramente qualcosa che non va.

photo©silviaz.com

Nessun commento:

Posta un commento