Lo hanno torturato – forse per ore – e infine dato alle fiamme. Bruciato, quasi incenerito, con una catena girata due volte stretta intorno al collo. L’ennesima orribile fine di uno dei tanti randagi senza nome di Palermo. Il macabro ritrovamento, alla foce del fiume Oreto in via Messina marine. Il luogo appartato, insieme all’aspetto rituale della scena, fanno pensare all’azione di più persone. “Lì per lì ho pensato si trattasse dei resti di un falò – dice il malcapitato passante che ha segnalato il fatto – ma poi mi sono trovato davanti il ghigno di quel povero cane. Era evidente che doveva avere sofferto molto prima di morire”.
L’uccisione di animali, in questo caso aggravata da maltrattamenti e crudeltà, secondo la legge italiana è punibile con la reclusione fino a due anni. Il fatto è stato denunciato ai carabinieri. Ancora una volta nel capoluogo siciliano si è consumato un atto di assurda e raccapricciante cattiveria contro un animale indifeso. Non è la prima volta infatti che dei balordi danno fuoco ad un cane per un soddisfare un inspiegabile, disumano, bisogno di ferocia. Cuccioli bruciati vivi, cani che vengono fatti saltare in aria con grossi petardi: la cronaca cittadina non risparmia racconti di gesta vigliacche compiute da branchi di esseri umani.
La denuncia arriva proprio nello stesso periodo in cui un gruppo di volontari animalisti segnala la sistematica uccisione, per mezzo di polpette avvelenate, di decine di cani e gatti a Trappeto, un paesino non distante da Palermo. Allo scopo di sensibilizzare i cittadini alla causa e chiedere ai sindaci di mettere in pratica le leggi che tutelano gli animali, i volontari organizzeranno una mostra, in collaborazione con la Mondadori di via Ruggero Settimo, che sarà presentata a breve in una conferenza stampa.